I dividendi scontano il regime fiscale dei soci.

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I dividendi scontano il regime fiscale dei soci.

07:55 23 Gennaio in Articoli
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I dividendi scontano il regime fiscale dei soci

SOCIETÀ SEMPLICI: IL DL 124/2019 PONE FINE A UNA SITUAZIONE DI IRRAGIONEVOLEZZA

I dividendi percepiti da società semplici sono sottoposti ad imposizione per trasparenza in capo ai relativi soci, scontando quindi il regime impositivo proprio di questi ultimi. È questa la novità introdotta dal decreto fiscale (art. 32-quater dl 124/2019) per porre fine a una situazione di evidente irragionevolezza che si era in precedenza verificata. In effetti, il legislatore del 2018 aveva unificato il regime fiscale dei dividendi percepiti da persone fisiche non imprenditrici, prevedendo l’imposizione con ritenuta alla fonte del 26% a prescindere dalla quota di partecipazione detenuta. Tuttavia, in quella stessa sede era stato abrogato l’art. 47, comma 1, primo periodo, del Tuir, il quale stabiliva una imponibilità limitata dei dividendi distribuiti. Una disposizione ritenuta ormai superflua per effetto del mutato regime introdotto dalla legge di Bilancio 2018. Tuttavia, restavano senza disciplina specifica, per l’appunto, i dividendi percepiti attraverso una società semplice, con la conseguenza (avallata tra l’altro dalla stessa AF) che essi scontavano una doppia imposizione economica piena: prima, come reddito, in capo alla società, poi, come utili, in capo al percettore. Si trattava di una situazione contraria al divieto di doppia imposizione di cui all’art. 162 del Tuir, alla quale pertanto il recente decreto fiscale ha tentato di porre rimedio. Secondo la nuova disciplina, il regime dei dividendi percepiti da società semplici deve essere determinato sulla base delle caratteristiche dei relativi soci, secondo un approccio look-through: se si tratta di società di capitali, essi saranno esenti per il 95% del loro ammontare; se sono percepiti da imprenditori individuali o società di persone commerciali, la quota di esenzione è del 41,86%; se infine il percettore è una persona fisica non imprenditrice, si applica la tassazione sostitutiva al 26%. Di fatto, la partecipazione indiretta ad una società commerciale, ovvero realizzata attraverso una società semplice, è trattata come se quest’ultima non vi fosse e l’investimento fosse stato realizzato direttamente dal socio. La nuova norma risolve, quindi, una situazione in evidente contrasto con i principi del nostro ordinamento, resa possibile da un intervento poco meditato del legislatore. La lettera dell’art. 32-quater, tuttavia, riferisce il regime alle sole fattispecie interne, quelle cioè concernenti utili di fonte italiana percepiti da società semplici la cui compagine sociale comprenda solo soggetti fiscalmente residenti in Italia. Ne consegue che laddove il soggetto che distribuisce il dividendo ovvero almeno uno dei soci della società di persone non siano residenti, la trasparenza di cui al nuovo regime non si potrà invocare. Tornerà quindi applicabile alle fattispecie transnazionali la situazione di duplice imposizione economica propria della disciplina del 2018. Non solo, quindi, si perpetua una situazione giuridicamente in sé irragionevole, ma si introduce un pericoloso elemento di discriminazione tra situazioni interne, per le quali la problematica è risolta, e quelle transnazionali, che continuano a subire un trattamento peggiorativo. Al di là dei profili di diritto interno, laddove la fonte del dividendo o la residenza di uno dei soci della società semplice si collochino in uno Stato Ue si realizza una situazione che contrasta con il diritto unionale. La Corte Ue ha più volte sottolineato che le libertà fondamentali in particolare la libertà di stabilimento e quella di circolazione dei capitali ostano a una normativa nazionale che ne ostacoli l’esercizio, rendendolo meno conveniente. La circostanza secondo cui l’investimento attuato attraverso una società semplice sia fiscalmente più oneroso nel caso in cui sia coinvolto un elemento di transnazionalità rende la disciplina interna contraria ai principi Ue: il giudice interno dovrebbe perciò in tal caso disapplicare l’art. 32-quater, salvo il rinvio pregiudiziale alla Corte Ue per un chiarimento definitivo.

Articolo di Stefano Dorigo