La presunzione di imponibilità dei capitali esteri non si applica retroattivamente.

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La presunzione di imponibilità dei capitali esteri non si applica retroattivamente.

11:52 30 March in Articoli
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La presunzione di imponibilità dei capitali esteri non si applica retroattivamente

CONTRASTO AI PARADISI FISCALI

Il tema dell’ambito temporale di applicazione della presunzione di costituzione, mediante redditi sottratti a imposizione, degli investimenti e delle attività finanziarie detenute in paesi a fiscalità privilegiata in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale torna ad essere di grande attualità alla luce della sentenza n. 879/2019 della Commissione tributaria regionale Abruzzo. La CTR, discostandosi dall’orientamento della Corte di Cassazione, ritiene applicabile la presunzione di evasione – e il raddoppio dei termini per gli accertamenti che su di essa si basano – a fattispecie verificatesi in data anteriore a quella di entrata in vigore della norma, ovvero in epoca anteriore al 2009.

Secondo quanto prevede l’art. 12, comma 2, D.L. n. 78/2009, rubricato “Contrasto ai paradisi fiscali”, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in Stato o territori a fiscalità privilegiata in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale di cui al D.L. n.167/1990, si presumono costituiti, salvo prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione in Italia.
Con l’art. 1, comma 3, D.L. n. 194/2009, il legislatore ha aggiunto, all’art. 12, il comma 2-bis, instituendo in favore dell’Amministrazione finanziaria il raddoppio dei termini di cui agli articoli 43, comma 1 e 2, D.P.R. n. 600/1973 e 57, commi 1 e 2, D.P.R. n. 633/1972 per la notifica degli accertamenti in materia di imposte dirette e di IVA basati sulla presunzione di evasione di cui al precedente comma 2.
Ebbene, la questione che si è posta ha riguardato l’ambito tempora le di applicazione dell’art. 12, commi 2 e 2-bis e, segnatamente, la possibilità di applicare la presunzione e il meccanismo del raddoppio dei termini a fattispecie verificatesi in data anteriore all’epoca di entrata vigore di tali norme, ovvero in epoca anteriore all’anno 2009.
La problematica è stata al centro di un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale che si è diviso fra i sostenitori della natura procedimentale dell’art. 12 e i fautori della sua natura sostanziale, rispettivamente favorevoli e contrari all’applicazione retroattiva della norma.
Secondo la tesi procedimentalista, avallata dall’Agenzia delle Entrate e da ultimo ribadita nella circolare n. 7/E del 9 aprile 2019 in materia di definizione agevolata dei PVC di cui al D.L. n. 119/2018, l’art. 12 del D.L. n. 78/2009 non determinerebbe una modifica sostanziale della posizione soggettiva del contribuente per il fatto che, incidendo sul metodo di acquisizione della prova, riguarderebbe esclusivamente il procedimento applicativo del tributo; inoltre, l’incipit dell’art. 12, comma 2, secondo cui la norma si applica “in deroga ad ogni vigente disposizione di legge”, rappresenterebbe una chiara deroga al principio di irretroattività delle leggi tributarie di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 212/2000 che consentirebbe l’applicazione della presunzione a fattispecie verificatesi in anni antecedenti il 2009.
Di contro, secondo i sostenitori della tesi sostanzialistica, l’art. 12 avrebbe natura di presunzione legale relativa appartenente alla categoria delle norme sostanziali , perché dispone una regola particolare sull’onere della prova ed incide sulla determinazione della base imponibile; per di più, secondo il fronte sostanzialistico, l’applicazione retroattiva dell’art. 12 si porrebbe in aperto contrasto sia con il principio del legittimo affidamento (art. 97 Cost.), perché al tempo della commissione dei fatti la presunzione di evasione non era ancora vigente, sia con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), per il fatto che, all’epoca della condotta contestata, il contribuente non era neppure a conoscenza della necessità di precostituirsi la prova contraria per vincere la presunzione.

La posizione della Cassazione a favore dell’inapplicabilità retroattiva

La vexata quaestio della natura giuridica della presunzione di evasione è stata risolta dalla Corte di Cassazione che, con orientamento costante nel corso degli ultimi due anni, ha ricondotto l’art. 12 del D.L. n. 78/2009 nell’alveo delle norme sostanziali.
I giudici di legittimità hanno chiarito, infatti, che la disposizione contiene una presunzione legale (di costituzione delle disponibilità estere mediante redditi sottratti ad imposizione in Italia) e che le norme in tema di presunzioni sono collocate nel Codice civile e, dunque, nel diritto sostanziale; inoltre, i giudici di legittimità hanno osservato che l’art. 12, D.L. n. 78/2009 incide in maniera decisiva sulla determinazione dell’imposta, nonché sulla ripartizione dell’onere probatorio. Di conseguenza, sia la presunzione di evasione che il meccanismo del raddoppio dei termini, trattandosi di norme sostanziali, non possono essere applicate retroattivamente (Corte di Cassazione, sez. VI, 2 febbraio 2018, n. 2662; Corte di Cassazione, sez. trib., 30 gennaio 2019, n. 2562 e Corte di Cassazione, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 5471).

La posizione di contraria di parte della giurisprudenza di merito

Tuttavia, nonostante l’orientamento oramai consolidato della Corte di Cassazione, sia l’Agenzia delle Entrate sia parte della giurisprudenza di merito (da ultimo la CTR Abruzzo con la sentenza n. 879/6/2019 depositata il 25 ottobre 2019) perseverano nel ritenere che la presunzione di evasione e la normativa sul raddoppio dei termini per l’accertamento dei maggiori redditi derivanti dalla violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale abbiano natura procedimentale e possano, pertanto, essere applicate retroattivamente.
La posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate, che prosegue nel coltivare i giudizi aventi a oggetto accertamenti di annualità ante 2009 basati sull’art. 12, e dalle Corti di merito, che applicano retroattivamente la presunzione di evasione in aperto contrasto con la giurisprudenza della Cassazione, deve però essere stigmatizzata.
Costringere, infatti, il contribuente ad affrontare ulteriori gradi di giudizio per ottenere l’annullamento di una pretesa impositiva fondata sull’applicazione retroattiva dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009 costituisce una condotta contraria sia ai principi di collaborazione e buona fede, che secondo l’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente devono caratterizzare i rapporti con l’Amministrazione finanziaria, sia ai principi di efficienza, economicità e buon andamento cui deve uniformarsi l’azione della pubblica Amministrazione ex art. 97 Cost.
È auspicabile, quindi, che il perseverare nel contenzioso venga quindi sanzionato, sul piano processuale, con la condanna dell’Agenzia delle Entrate al risarcimento dei danni da lite temeraria ex art. 96 c.p.c.

Articolo di Giuseppe Salvi - Avvocato tributarista in Firenze