Lavoro a Dubai, non paga in Italia.

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Lavoro a Dubai, non paga in Italia.

15:15 05 February in Articoli
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Lavoro a Dubai, non paga in Italia

Spetta agli emirati arabi tassare le pubbliche funzioni

Le somme percepite da un privato residente in Italia per servizi resi al governo degli Emi rati Arabi non sono imponibili in Italia, poiché rientrano nell’ambito delle remunerazioni per lo svolgimento di pubbliche funzioni che la pertinente Convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni riserva alla competenza dello stato che le paga. Il principio è stato stabilito dalla Cassazione, sez. V, con la sent. 1210 del 21 gennaio scorso. Il caso riguardava una persona fisica, residente in Italia, alla quale l’Agenzia delle entrate aveva contestato l’omessa dichiarazione dei compensi erogati dal governo dell’Emirato del Dubai per attività di consulenza e promozione di una disciplina equestre. Secondo l’amministrazione, il contribuente avrebbe errato nel ritenere non imponibili in Italia i compensi, trattandoli come reddito derivante da attività svolte nell’interesse dello stato estero e come tali tassabili da questo in via esclusiva ai sensi dell’art. 19 della Convenzione. Al contrario, si sarebbe trattato di compensi per attività professionale, imponibili in Italia secondo l’art. 14 del medesimo trattato. La Commissione tributaria regionale condivideva l’impostazione dell’Agenzia delle entrate e annullava la sentenza di primo grado favorevole al contribuente. La Cassazione, investita della questione, ha nuovamente ribaltato l’esito del contenzioso. Essa afferma che l’art. 19 della Convenzione, sebbene rubricato «funzioni pubbliche», riserva alla competenza fiscale dello stato territoriale tutti i compensi che un non residente, ancorché agendo in forza di un rapporto privatistico, ritrae dallo svolgimento di «qualunque servizio richiesto dal governo che vi ravvisa profili di interesse pubblico». Viene dunque privilegiata un’interpretazione oggettiva della nozione di funzione pubblica, tale da includervi ogni attività che vada a vantaggio dello stato estero, a prescindere dalla qualificazione del rapporto su cui essa si basa. Va detto che il Modello Ocse e il commentario, nella formulazione attuale, paiono muoversi in senso diverso. Il testo dell’art. 19, infatti, ha sostituito il termine «remunerazione» con quello di «salari, retribuzioni e altre remunerazioni similari», proprio allo scopo di evidenziare che la disposizione si applica solo ai «dipendenti dello stato» e non invece alle persone che forniscono al medesimo «servizi indipendenti». Prevale, qui, un’interpretazione restrittiva dell’art. 19, che valorizza la sola natura pubblicistica del rapporto che lega lo stato e il non residente. Secondo questa impostazione, il caso deciso dalla sentenza 1210/2020 avrebbe dovuto essere ricondotto all’art. 14 della Convenzione, poiché il contribuente agiva come privato fornitore di servizi. Può darsi che la Cassazione sia stata influenzata dal fatto che la Convenzione Italia-Emirati, risalente al 1995, ha mantenuto il termine «remunerazione» per designare i compensi erogati dallo stato estero e assoggettati al regime impositivo esclusivo del medesimo, senza adeguarsi alle indicazioni del commentario.

Viene privilegiata un’interpretazione oggettiva della nozione di funzione pubblica,
tale da includervi ogni attività che vada a vantaggio dello stato estero

Articolo di Stefano Dorigo